Staffetta partigiana

La staffetta partigiana Caterina Rigoni Boemo ad Asiago

La staffetta partigiana era una donna, affiliata alla Resistenza italiana, a cui era assegnato il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate partigiane nell'ambito della guerra di liberazione italiana.[1]


«È impossibile citare e ricordare i nomi di tutte. Abbiamo avuto bisogno dell'aiuto di centinaia e centinaia di loro, della loro iniziativa, delle loro cure e del loro coraggio. Ai partigiani e ai combattenti sono state date delle medaglie, agli intriganti anche, alle donne della Resistenza poco o nulla. Ma coloro che le hanno conosciute porteranno sempre nei loro cuori il ricordo di ciò che sono state; alle staffette, alle infermiere, a tutte le donne partigiane va l'affetto imperituro dei garibaldini.»

(Pietro Secchia[2])

Descrizione

A differenza delle poche donne che parteciparono alle guerre del Risorgimento, furono moltissime le donne che decisero di propria volontà e autonomamente di partecipare alla Resistenza. Fin dai primi giorni della guerra di liberazione italiana le brigate partigiane assegnarono alle donne le mansioni di corriere e informatore, attribuendogli così il ruolo di staffette. Con l'avanzare della guerra le staffette iniziarono a rivelarsi fondamentali per la gestione della logistica dell'esercito partigiano e per le comunicazioni tra le diverse formazioni partigiane, così ogni distaccamento si dotò di una propria squadra di staffette specializzate a muoversi tra i centri abitati, le montagne e le campagne e i comandi delle unità partigiane.[3]

Le staffette erano arruolate tra le donne che potevano muoversi con maggior libertà rispetto agli uomini. Inoltre lo stereotipo sociale dell'epoca tendeva a considerare la donna meno pericolosa e meno direttamente perquisibile, anche se furono molto numerose le violenze che i nazifascisti perpetrarono nei loro confronti.[1][4]

Gli incarichi assegnati alle staffette erano molto rischiosi, ma soprattutto la staffetta partigiana doveva decidere da sola come organizzarsi, da dove passare, dove dormire, di chi fidarsi; essenziale era la prontezza di affrontare eventi imprevisti, capacità di mimetizzarsi, recitare parti credibili; dietro ogni curva ci poteva essere il pericolo[5].

La staffetta solitamente si muoveva da sola e disarmata, attraversando in bicicletta o a piedi zone impervie, trasportando talvolta carichi ingombranti. Dopo i combattimenti le staffette si occupavano anche della cura dei feriti andando alla ricerca di un medico oppure organizzando il suo ricovero. Erano poi inviate in avanscoperta durante le marce di trasferimento delle colonne partigiane per verificare la presenza e quantità delle forze nemiche. Erano inoltre presenti nei paesi occupati, in modo da raccogliere informazioni utili alla guerriglia partigiana e per rifornirsi di cibo e medicine da consegnare ai comandi partigiani.[3][6]

Note

  1. ^ a b Staffette, su anpi.it, Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, 14 gennaio 2011. URL consultato il 19 maggio 2022 (archiviato il 16 aprile 2021).
  2. ^ Le donne partigiane, su resistenze.org. URL consultato il 16 giugno 2024.
  3. ^ a b Pietro Secchia e Cino Moscatelli, Le donne partigiane, in Il monte Rosa è sceso a Milano, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1958, pp. 603-607. URL consultato il 19 maggio 2022 (archiviato il 17 maggio 2021).
  4. ^ Staffetta partigiana, su memorieincammino.it, Istituto Alcide Cervi. URL consultato il 19 maggio 2022 (archiviato il 12 aprile 2021).
  5. ^ Marisa Ombra, La bella politica, La Resistenza, "noi donne", il femminismo, Torino, Edizioni SEB 27, 2009, pp. 34-35.
  6. ^ Marisa Ombra, La vita spericolata della staffetta partigiana, in Patria Indipendente, 18 novembre 2016. URL consultato il 19 maggio 2022 (archiviato il 19 maggio 2022).

Voci correlate

Collegamenti esterni

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